Cibo che bontà! Dal rifiuto al piacere per il cibo nei bambini da zero a sei anni

Prima di incamminarci nella comprensione delle motivazioni che portano i bambini piccoli a rifiutare il cibo, come anche ai possibili accorgimenti e suggerimenti che permettano di trasformare l'esperienza del nutrirsi da temuta e rifiutata a desiderata e goduta, è importante soffermarci sul significato profondo che caratterizza la parola  nutrizione, bisogno fondamentale di base dell'individuo. A livello generale essa chiama in causa il concetto di relazione-contatto, poiché fin da subito dopo la nascita l'esperienza dell'alimentazione costituisce la modalità privilegiata di contatto tra madre e bambino, contatto che è nutritivo, corporeo ed anche affettivo/emotivo. Questa importante triplice funzione è in realtà esperita come unitaria nell'atto dell'allattamento, cornice fondante che  intesse la relazione  madre-bambino e ne dà la coloritura emotiva,  gettando le basi per lo sviluppo emotivo-affettivo-relazionale del piccolo, oltre che, ovviamente, per l'approccio al cibo, all'alimentazione e al nutrimento di sé in senso lato. Indissolubilmente legati al nutrimento sono i concetti di pieno/vuoto e di tempo. Se l'esperienza nutritiva è positiva, il sentirsi vuoto quando si sente fame può assumere una connotazione altrettanto positiva: il bambino "sente" se stesso, è orientato alla fiducia dell'arrivo del cibo e del rapporto con con la figura di riferimento, investendo di desiderio ciò che attende. E il successivo sentirsi "pieno" sarà caratterizzato da un senso di benessere, di pienezza complessiva, ovvero dal sentirsi pieno di cose buone.

Legati al tempo vi sono l'anticipare ed il ritardare il pasto;  l'anticipare è connesso con la possibilità effettiva che in un dato momento il bambino non abbia fame. L'anticipare ha a che fare con l'impossibilità di percepire la fame, di evocare il cibo e dunque di desiderarlo.

Al contrario, il ritardare intrappola il bambino nel bisogno e nel vuoto, Il cibo viene usato per riempire quel vuoto, ma  sentito come “cattivo” per l’angoscia causata dall’eccessiva attesa: sarà cercato insaziabilmente (voracità), oppure cercato e poi rigettato (bulimia)o rifiutato per negare un bisogno sentito così devastante e connesso ad un rifiuto affettivo (anoressia).Va precisato però che talora l’anoressia infantile non è solo connessa al ritardare, ma anche ai casi in cui il bambino incontri un vuoto affettivo (es. separazioni precoci e prolungate).

Dopo questo breve ma necessario preambolo ci addentriamo adesso più specificatamente nelle motivazioni che inducono il bambini a rifiutare il cibo:




  • il bambino si trova in un momento particolare dello sviluppo... es. lo svezzamento, con l'introduzione di cibo nuovo e un nuovo modo di assumerlo (dal latte alle pappine poi ai cibi solidi, dal seno/biberon alla alimentazione autonoma attraverso l'uso delle posate); la dentizione o momenti di disappetenza legati a particolari stati d'animo transitori;
  • il bambino non ha fame;
  • ciò che gli viene proposto non gli piace... da qui l'importanza di tenere in considerazione i gusti personali che vanno da un lato rispettati ma anche educati ed ampliati; i gusti infatti  cambiano e si diversificano nel tempo
  • il bambino avverte il cibo non come cosa buona ma come medicina, una forzatura, qualcosa di cattivo da rifuggire, perchè l'atmosfera ed il clima emotivo che si crea al momento del pasto è imbevuta di agitazione, ansia, costrizione; sensazioni negative che vengono associate proprio al cibo e alla situazione del pasto percepita come stressante;
  • il bambino sente il cibo come la cosa più importante per il genitore nella relazione con lui e allora protesta  attaccando proprio quello, sfidando il genitore su un campo percepito come fortemente centrale;
  • il bambino viene nutrito troppo e dunque si sente troppo pieno; ciò potrebbe essere connesso a sensazioni sgradevoli tali da far vivere il cibo come senso di invasione e quindi "cibo cattivo" o al massimo con connotati ambivalenti, "cibo buono e cattivo" insieme. A ciò il bambino potrà reagire o col rigettare il troppo, con la ribellione o  l'ambivalenza (oltre che con la passività, lasciandosi riempire oltremodo senza porre resistenza).


I motivi del rifiuto del cibo sopraelencati  danno conto delle molteplici difficoltà che spesso i genitori riscontrano nella gestione del pasto e intorno al tema dell'alimentazione. Il momento dei pasti  diventa spesso un campo di battaglia in cui il bambino, assorbendo il clima emotivo in cui si inserisce la presentazione del cibo, spesso inizia a rifiutare ciò che gli viene proposto in una sorta di circolo vizioso senza fine, in cui sia i genitori che i bambini stanno mal

Quali sono i possibili rischi connessi a questa spiacevole situazione?

  • tutta l'esperienza della relazione con il bambino si accentra rispetto all'alimentazione a discapito del nutrimento di altri aspetti relazionali necessari comunque per uno sviluppo armonico e sereno del bambino e della relazione con lui.
  • modalità di offrire il pasto veicolate da costrizione, ansia, preoccupazione e rabbia, che portano ad esperire il cibo come persecutorio o al più come qualcosa di cattivo  che  il bambino puntualmente tenta di evitare
  • il bambino non condivide il momento del pasto con la propria famiglia; il bambino si sente escluso, non partecipa ad un momento importante per tutta la famiglia, fondamentale nella nostra cultura e tradizione in cui il  pasto è un pilastro importante, momento di  scambio, di condivisione, in cui oltre al nutrimento del corpo si fa esperienza di nutrimento della mente e  della relazione stessa tra i conviviali.

Cosa dunque possiamo suggerire per aiutare il bambino e la sua famiglia a sviluppare un atteggiamento positivo attorno all'esperienza della nutrizione?  


  • creare un clima positivo al momento del pasto; proporre il cibo con serenità, fiducia; il cibo è buono e nutriente nella misura in cui esso è percepito e veicolato dal genitore come tale.
  • trattare il bambino come tale, sviluppando la relazione con lui sugli altri ambiti di vita (momenti di gioco condiviso, socializzazione con altri bambini, partecipazione alla vita sociale etc..), ciò influisce positivamente sulla relazione, libera dalla questione alimentare, con ricadute positive anche su quest'ultima;
  • cercare di andare incontro alle esigenze del bambino attraverso cibi e ricette che ovviamente tengano in conto le esigenze nutrizionali  ma che anche seguano i gusti e le quantità che egli può sopportare. Importante è diversificare i cibi, utilizzare gli ingredienti in modo creativo, invogliare attraverso la presentazione del piatto, fare un piatto unico  che contenga i vari nutrienti in modo da non stancare il bambino con più portate. Predisporre più alternative e assecondare il bambino rispetto al cibo desiderato. Proporre quantità più ristrette, in modo tale che il bambino mangi meno ma più spesso e possa quindi avvertire la sensazione interna di vuoto, sentire la fame.. e così il piacere di richiedere il cibo e di nutrirsi.
  • preparare il cibo con serenità e amore e proporlo in questi termini. Tentare di attenuare le ansie ed avere pazienza. (Se un genitore è stanco affidare all'altro la preparazione e la proposta del cibo);
  • progressivamente rendere autonomo il bambino rispetto al cibo; permettergli di  esplorarlo, toccarlo, manipolarlo nel momento dello svezzamento, e pian piano sostenerlo nel mangiare da solo. Dai 3/4 anni coinvolgerlo nella preparazione delle pietanze, come esperienza giocosa,  in modo tale che egli viva un'esperienza di piacere e divertimento, oltre che necessaria se vista in prospettiva, in cui sentirsi attivo, autonomo e competente
  • importantissimo è infine l'aspetto della condivisione non solo del momento del pasto, per cui mangiare tutti assieme, ma anche della condivisione degli alimenti stessi; portare la famiglia una nutrizione consapevole, sana ma anche gustosa.

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